Liu Hu è un giornalista cinese. Come tutti i suoi concittadini, non può muoversi senza il suo QR code.

Da diversi anni questo dispositivo è indispensabile per fare la spesa, recarsi in ufficio, andare al ristorante, al cinema, muoversi in città, viaggiare…

Come possiamo leggere su un articolo di Repubblica, Liu Hu è stato arrestato nel 2013 per «diffusione di voci infondate».

Nella primavera del 2013, il 43enne reporter si accinge a prenotare un volo su Internet e vede apparire il messaggio «acquisto non autorizzato». «Non riuscivo a capire», ricorda.

Il suo nome, collegato al numero della sua carta d’identità, è stato iscritto, a sua insaputa, in una lista nera. Non può neppure prendere un treno ad alta velocità, né chiedere un prestito bancario o acquistare un appartamento.

Da alcuni anni si stanno sperimentando in tutta la Cina dispositivi di questo tipo, che prefigurano un vasto «sistema di reputazione sociale».

Altri come lui, per essersi espressi un po’ troppo sui social media, hanno visto i loro conti bancari congelati.

Un documento governativo spiega che l’obiettivo è «assicurare che le persone affidabili siano ricompensate in tutti i campi, mentre chi tradisce la fiducia andrà incontro a difficoltà in ogni fase della propria esistenza» ad esempio per l’iscrizione all’università o la ricerca di un lavoro.

Impediscono loro di vivere.
Ma lo fanno per il loro bene.

Calpestare i diritti e la dignità umana è necessario per ricostruire i valori morali… dicono… e molti credono che sia giusto


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