Ad essere una bufala sono i grani antichi oppure quanto affermato durante l’incontro del 23 ottobre 2023, a Bologna, dall’Accademia Nazionale di Agricoltura?

I grani antichi non sono iscritti ad alcun registro?

Falso. In realtà, le varietà di grani antichi, dal 2017, sono iscritte dagli agricoltori custodi al Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione, tenuto dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF). A controllare e certificare la filiera dei grani antichi è di fatto proprio il CREA (ovvero l’ente di cui il professor Luigi Cattivelli è un esponente).

Cosa si intende per grani antichi?

Si definiscono grani antichi le cultivar antecedenti alla cosiddetta “Rivoluzione Verde”, a seguito della quale i grani diventano “moderni”. Ovvero, il periodo che definisce il passato dal cosiddetto antico al moderno è la nascita del grano Creso (precursore dei grani moderni).
Era la fine degli anni ’60 quando, nei laboratori del Cnen (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), si cominciò a bombardare con radiazioni una cultivar del grano duro, precisamente la varietà Cappelli. Ebbe così origine il grano Creso, che fu poi registrato nel 1974.
Di seguito riportiamo alcune differenze tra grani antichi e moderni, ovvero tra grani pre-rivoluzione e grani post-rivoluzione verde:

La taglia, ovvero l’altezza del culmo. I grani pre-rivoluzione sono a taglia alta (anche oltre il metro e trenta), mentre quelli successivi hanno taglia bassa (al di sotto del metro).

La forza del glutine (che non è la quantità di glutine), indicata con la lettera W (indice di glutine). I grani antichi infatti hanno un valore W molto basso (pari a 73 nel grano Verna). Si arriva poi ai grani moderni che hanno una forza intorno ai 300-400 (come per la Manitoba).

Maggiore biodiversità, ovvero maggiore variabilità genetica dei grani antichi. Nella post-rivoluzione si è andati verso la selezione di grani “in purezza”, con piante tutte geneticamente identiche e conseguente perdita di biodiversità. Questo lo si può constatare confrontando un campo di grani antichi, dove sono presenti spighe diverse con un campo di grani moderni, dove le spighe sono pressoché tutte omologate.

Quali principali colture rientrano in questo termine?

Di seguito riporto alcuni esempi di grani antichi, o, meglio, vecchie varietà di grano. Da precisare, comunque che ce ne sono tanti altri.

  • Tra i frumenti teneri, abbiamo varietà come il Verna, l’Inallettabile, il Gentil Rosso, il Frassineto.
  • Tra i frumenti duri ritroviamo il Cappelli, il Tumminia, il Russello, il Farro lungo Perciasacchi.

Limiti e vantaggi nella coltivazione dei grani antichi

E’ vero, i grani antichi hanno un basso livello di resa produttiva. Infatti, i programmi di miglioramento genetico condotti sul frumento che hanno portato al processo di nanizzazione erano finalizzati, del resto, ad incrementare la produttività.

L’obiettivo era quello di ridurre il rischio di allettamento, ovvero il ripiegamento fino a terra di piante erbacee (per l’azione del vento o della pioggia), che rende difficoltosa la raccolta e comporta perdite di prodotto e di resa per ettaro. Si passò, quindi, da una taglia di 140 e 160 cm (dei frumenti coltivati prima dell’avvento del grano Creso) ad una taglia più bassa (70-80 centimetri), con una maggiore resistenza all’allettamento ed in grado di sopportare concimazioni abbondanti.

Nel periodo tra gli anni ’60 e ’90, l’introduzione di queste “nuove” cultivar, funzionali all’agricoltura industriale, unita all’utilizzo di concimi chimici, diserbanti e pesticidi, permise di aumentare la produttività, duplicando e talvolta quadruplicando le rese del frumento. Tale incremento in termini di produttività fu possibile anche grazie all’introduzione di macchinari agricoli sempre più efficienti.

Di contro, le varietà antiche, pur avendo una resa produttiva inferiore, hanno peculiari caratteristiche di valore aggiunto: maggiore rusticità e maggiore resistenza alle avversità climatiche.

Un altro aspetto fondamentale è legato alla biodiversità assicurata da questi grani, che, come abbiamo visto, costituiscono una risorsa di variabilità genetica.

Una aumentata variabilità genetica vuol dire anche maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali. Mentre, laddove la variabilità genetica è ridotta, ci può essere necessità di un intervento umano più consistente, che molto spesso si traduce nell’utilizzo di prodotti chimici.

Quali differenze nutrizionali?

Come dicevamo, nei grani antichi, la differenza non è tanto la quantità di glutine (alcuni grani antichi potrebbero contenere addirittura più glutine rispetto ai moderni), quanto il tipo di glutine, in particolare il tipo di gliadina.

Va precisato che nel grano non c’è ancora glutine, ma sono presenti (nell’endosperma) le proteine di riserva (gliadina e glutenina). Il glutine poi si forma quando queste proteine si uniscono ad acqua.

Il glutine delle farine derivanti da varietà antiche contiene meno epitopi tossici (particolari frammenti proteici ricchi in prolina e glutamina), quindi meno sequenze che possono attivare una risposta immunitaria. (Van den Broeck et al., 2010).

Di contro, nella gliadina delle varietà moderne ci sono epitopi tossici con alto contenuto di prolina, in particolare, e di glutamina che limitano l’azione proteolitica degli enzimi gastrointestinali, precludendone la completa degradazione. Questo fa sì che non si riesca a digerire completamente tale proteina; per cui, nel nostro tratto gastro intestinale rimarranno peptidi parzialmente scomposti con il rischio che possano favorire intolleranze al glutine ed immunogenicità, ovvero in grado di indurre una risposta immunitaria (Heredia-Sandoval et al., 2016, Balakireva et al., 2016).

Non è un caso che studi scientifici hanno osservato che l’utilizzo di grani antichi può essere adatto anche in caso di intolleranza al frumento e di sindrome dell’intestino irritabile (Iarino G. et al., 2019, Sofi et al., 2014, Giacosa et al., 2022).

Più studi hanno inoltre dimostrato che i grani antichi hanno effetti benefici sulla colesterolemia, sullo stato infiammatorio, sui danni ossidativi alle membrane cellulari, sulla funzionalità intestinale (Lencioni et al, 2012, Tojo R et al. 2014).

Una caratteristica dei grani antichi è anche la maggiore ricchezza in polifenoli, composti con proprietà antiossidanti ed antinfiammatorie (Dinelli et al., 2020).

I grani antichi non sono sostenibili?

Queste vecchie varietà di grano sono generalmente coltivate in modo biologico (anche senza certificazione) e richiedono meno risorse (a partire da quelle idriche) e meno (o nulla) prodotti di sintesi.

Per il loro alto culmo infatti non necessitano di diserbo (la loro altezza impedisce al sole di arrivare alle sottostanti piante infestanti). La taglia, inoltre, li rende meno soggetti alle muffe (che, dal terreno potrebbero arrivare alla spiga). Quindi meno necessità di antimicotici ed antiparassitari.

Inoltre, per il loro apparato radicale sviluppato richiedono meno acqua, quindi si adattano meglio delle varietà moderne a condizioni di stress idrico (Licaj et al., 2023). E non necessitano di fertilizzanti, il che permette di ridurre il rischio di eutrofizzazione, un fenomeno dovuto ad un impiego elevato di prodotti di sintesi (come ad esempio azoto) che, finendo nelle acque, comporta il degrado dell’ecosistema acquatico.

La coltivazione ed il consumo di grani antichi, dunque, è decisamente un vantaggio sia per la nostra salute, sia per quella del pianeta.


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