La Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) ha deciso di elaborare linee guida relative alla definizione dell’ipovitaminosi D e alle strategie di prevenzione e trattamento, riassunte nei seguenti punti:
- Il fabbisogno di vitamina D varia da 1.500 UI/die (adulti sani) a 2.300 UI/die (anziani, con basso apporto di calcio con la dieta). L’alimentazione in Italia fornisce in media circa 300 UI/die, per cui quando l’esposizione solare è virtualmente assente debbono essere garantiti supplementi per 1.200-2.000 UI/die.
- Il dosaggio della 25-idrossi-vitamina D [25(OH)D] sierica rappresenta il metodo più accurato per stimare lo stato di replezione vitaminica D, sebbene le tecniche di dosaggio non siano tuttora adeguatamente standardizzate.
- Sono state identificate soglie per una condizione di
“carenza” [25(OH)D <20 ng/ml] e di
“insufficienza” [25(OH)D tra 20 e 30 ng/ml] dello stato vitaminico D. - L’insufficienza di vitamina D interessa circa il 50% dei giovani nei mesi invernali. La condizione carenziale aumenta con l’avanzare dell’età sino ad interessare la quasi totalità della popolazione anziana italiana che non assume supplementi di vitamina D.
In presenza di deficit severo vanno somministrate dosi cumulative di vitamina D variabili tra 300.000 ed 1.000.000 di UI, nell’arco di 1-4 settimane. - Una volta corretto il deficit vitaminico, la dose giornaliera di prevenzione – mantenimento varia in funzione dell’età e dell’esposizione solare, con un range compreso tra 800 e 2.000 UI/die o equivalenti settimanali. Un controllo dei livelli di 25(OH)D è raccomandato ogni due anni circa per trattamenti con dosi quotidiane superiori a 1.000 UI.
- La dose massima giornaliera oltre cui si ritiene elevato il rischio di intossicazione è stata identificata in 4.000 UI.
- I supplementi di vitamina D devono essere usati con cautela e monitorando periodicamente i livelli di 25(OH) D nei pazienti con malattie granulomatose o iperparatiroidismo primitivo.
- In corso di gravidanza i supplementi di vitamina D possono essere somministrati come nelle donne non gravide, evitando comunque l’uso dei boli (dosi >25.000 UI).
La vitamina D è necessaria per la formazione delle ossa
Le azioni della Vitamina D sono da attribuire al suo metabolita attivo, l’1,25- diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3] o calcitriolo, prodotto a partire dal colecalciferolo, o vitamina D3.
La quota preponderante di vitamina D3 deriva dalla conversione della provitamina D a seguito dell’esposizione della cute a raggi ultravioletti di specifica lunghezza d’onda (UVB tra 290 e 315 nm).
La luce solare è caratterizzata dalla presenza di queste radiazioni solo per un numero limitato di ore, che peraltro varia in relazione alla stagione ed alla latitudine. Per tale motivo, in Italia, la produzione di vitamina D legata all’esposizione solare è trascurabile nei mesi invernali.
Altri fattori che condizionano fortemente la sintesi vitaminica sono l’età (a parità di esposizione solare il soggetto anziano ne produce il 30% in meno), la superficie e lo spessore della cute esposta al sole, il tempo di irradiazione, e l’uso di creme protettive, che possono ridurre del 97% la sintesi cutanea di vitamina D.
Alle latitudini temperate, l’80% del fabbisogno di vitamina D è garantito dall’irradiazione solare ed il restante 20% viene assicurato dall’alimentazione (che comprenda fonti di vitamina D).
La vitamina D è molto liposolubile. Viene rapidamente assorbita a livello duodenale e digiunale e distribuita quasi totalmente al tessuto adiposo attraverso la circolazione linfatica. Da qui viene liberata in piccole quantità rispetto alla quota immagazzinata. Pertanto una maggiore massa adiposa “diluisce” la vitamina D, il che spiega perché il rischio della sua carenza sia più elevato nei soggetti obesi.
La vitamina D come tale rimane in circolo solo per brevissimo tempo. Viene idrossilata a livello epatico: si converte quindi in 25-idrossicolecalciferolo [25(OH)D3] ad opera dell’enzima 25-idrossilasi.
Il dosaggio della concentrazione sierica della 25(OH)D rappresenta il metodo più accurato per stimare lo stato di insufficienza/carenza e replezione vitaminica. La 25(OH) D si deposita solo a livello epatico e muscolare; la sua emivita è più breve di quella della vitamina D e tale da soddisfare il fabbisogno per non più di 12-18 giorni.
La forma attiva della vitamina D è la forma di-idrossilata, ovvero l’1,25(OH)2D3 (o calcitriolo), che viene attuata a livello renale, a partite dalla 25(OH) D (ad opera della 1-alfa-idrossilasi). Tale conversione richiede la presenza di ormone paratiroideo (PTH) ed è in parte modulata dai livelli sierici del calcio e del fosforo. I metaboliti di-idrossilati hanno emivita brevissima e non vengono depositati a livello tessutale.
Nei soggetti affetti da insufficienza renale la produzione di 1,25(OH)2D (calcitriolo) viene progressivamente compromessa. L’attività alfa-idrossilasica, tuttavia, non è più in grado di assicurare livelli ormonali normali solo in presenza di un notevole deterioramento della funzione renale. La prevenzione della carenza di vitamina D con metaboliti idrossilati è giustificata solo nei pazienti affetti da insufficienza renale avanzata. In altre condizioni potrebbe risultare irrazionale e o addirittura potenzialmente rischioso, poiché la 1-idrossilazione è il gradino limitante del processo di sintesi della vitamina D attiva: costituisce quindi un meccanismo di protezione nei confronti di un’eventuale intossicazione, che è preservato con gli altri tipi di supplementazione.
La vitamina D promuove la sintesi di alcune proteine, soprattutto l’osteocalcina, fondamentali per l’omeostasi del tessuto osseo (ndr Il dosaggio dell’osteocalcina nel sangue si rivela utile in ambito clinico come marcatore specifico del metabolismo osseo).
Altre possibili funzioni della vitamina D
E’ stata inoltre osservata la capacità di produrre 1,25(OH)2D, nei macrofagi attivati, negli osteoblasti (responsabili della formazione di matrice ossea), nei cheratinociti (cellule principali della cute) e a livello di prostata, colon e mammella. Questi meccanismi di produzione locale sembrerebbero implicati nei meccanismi di regolazione di crescita cellulare, compresa quella tumorale.
Ciò ha promosso l’utilizzo dell’1,25(OH)2D o dei suoi metaboliti nel trattamento della psoriasi e ne ha fatto ipotizzare l’impiego in alcuni tipi di neoplasie (prostata, mammella e colon). Si ipotizza un possibile ruolo della vitamina D nella regolazione della pressione arteriosa. Potrebbe inoltre contribuire alla riduzione del rischio di svariate malattie autoimmuni, compreso il diabete di tipo 1.
Fonti di Vitamina D
L’apporto dietetico di vitamina D e l’efficace esposizione alla luce solare sono i principali fattori che determinano il livello sierico di 25(OH) D.
La vitamina D è presente nei cibi in limitate quantità. La maggiore fonte è costituita dai grassi animali contenuti soprattutto nei pesci grassi (ad esempio salmone) e nei latticini.
Un tempo l’esposizione al sole durante i mesi estivi (ovvero quelli efficaci per la sintesi cutanea di vitamina D) era una necessità derivante da lavori svolti prevalentemente all’aperto. Oggi l’esposizione solare è notevolmente ridotta rispetto al passato, specie nella popolazione anziana. Molto spesso vengono utilizzate creme protettive che riducono la fotosintesi della vitamina.
Sovradosaggio
Una eccessiva somministrazione di vitamina D può determinare intossicazione, caratterizzata da ipercalcemia e rapido deterioramento della funzione renale. I pochi casi descritti in passato si riferiscono all’uso di dosi elevatissime di vitamina D, utilizzate sino a 30 anni fa per il trattamento dell’ipoparatiroidismo.
Secondo alcuni autori dosaggi fino a 2.000 UI/die o, più recentemente, fino a 4.000 UI/ die risultano del tutto sicuri dopo i 9 anni di età.
Questo dosaggio dovrebbe tuttavia essere commisurato all’apporto non farmacologico di vitamina D. In altri termini, se 2.000 UI/die in soggetti anziani con scarsa esposizione solare possono essere considerate assolutamente sicure (ed in alcuni casi persino insufficienti), la stessa dose potrebbe non essere altrettanto sicura a lungo termine nei soggetti giovani, magri e con frequente esposizione solare.
L’Institute of Medicine ha identificato in 4.000 UI/die la dose massima tollerata.
Liberamente tratto da https://reumatismo.org
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